La storia
La storia del museo “Città creativa” nasce nel 1995 dalla fiducia di poter realizzare un rilancio di una zona collinare Rufoli-Ogliara oramai in decadimento per quanto riguardava la produzione del cotto, crisi verificatasi a partire dagli anni cinquanta che videro, a fronte di tempi lenti dell’artigianato del cotto a fuoco con costi abbastanza elevati, i tempi più rapidi dell’industria paralleli a costi molto più bassi. Tale fiducia si radicava in un progetto che sembrava utopistico, ma prima di tutto economico “riaccendere le fornaci come segno di nuova vitalità”e conseguentemente anche culturale che si identifica nel binomio coniato da Pasquale Persico “Identità e sviluppo” che ha dato il titolo ad una sua opera edita da La Veglia editore nell’anno 2000.
L’idea di un Museo che facesse da centro sperimentale non solo della tradizione dell’argilla ma anche della innovazione ceramica nasce dal connubio di due personalità, di due energie parallele e complementari anche se disciplinarmente diverse: l’artista e l’economista, Ugo Marano e Pasquale Persico, che a metà degli anni novanta ricopriva anche il ruolo, oltre che di docente universitario di Economia, anche di Assessore allo sviluppo nel primo mandato del Sindaco Vincenzo De Luca.
Marano era già artista poliedrico ed affermato caposcuola di un gruppo di innovazione delle forme ceramiche tradizionali denominato I vasai di Cetara. Precedente alla nascita del Museo vi fu la ristrutturazione di una Fontana davanti alla chiesa di San Pietro (1996-97) realizzata dallo stesso Marano e da lui denominata Fontana Felice. Questo progetto, parte di un più ampio programma di riqualificazione degli spazi urbani ed extraurbani, diviene il simbolo del collegamento fra città e collina, fra centro e zone periferiche. Persico percorre tutte le tappe di questa “via del fuoco” che lo porta a confrontarsi con una città in cui non c’è sviluppo, non c’è più voglia di avere un destino comune. Manca il sentimento di comunità e la città nel suo aspetto, nella sua organizzazione urbana ne è esplicita raffigurazione. Il centro storico è in realtà in abbandono e la periferia fugge verso mille direzioni e in mezzo ad una città confusa si ritrova questa fontana, brutta ed incompiuta che però rappresentava bene lo stato della città. Questa stessa fontana, alla fine, è diventata per molti aspetti il simbolo di una riscoperta e di una rinascita. Bisognava far bella la fontana, ma far bella la città significa ritrovare le radici e la propria identità. La scoperta di Rufoli e delle ceramiche tradizionali di Salerno è l’occasione per ricostruire la memoria delle capacità e delle competenze, apparentemente perdute. Rufoli diviene la metafora dello sviluppo tale che lo sviluppo è lì. Non è sussidio pubblico, né ingegneria finanziaria. Di sicuro a un certo punto occorrono capitali ma l’elemento che scarseggia è l’uomo. La comunità di uomini e donne che decidono di restare per coltivare le proprie radici con progetti aperti …Il lavoro di di tutti allora presenta un esperimento di notevole valore che fissa in maniera chiara quanto complesso ed articolato sia il cammino dello sviluppo e quanto sviluppo economico e crescita della società civile siano tra loro intimamente legati.” (Patrizio bianchi – Postfazione a Identità e sviluppo). Il cotto prodotto dai fratelli de Martino, ultimo baluardo della produzione a fascine in fornaci storiche avrebbe potuto rappresentare il materiale d’unione fra una terra argillosa di antica tradizione etrusca ed il centro della città sviluppatasi lungo il mare. La seconda edizione della manifestazione promossa dal comune “Salerno Porte aperte” inserì per la prima volta sempre in quell’anno grazie anche alla proposta lanciata dall’archeologa Maria Antonietta Iannelli un itinerario sulle vie del fuoco che dalla città si spingeva verso la cosiddetta “Valle delle rane” verso Rufoli e la Fornace dei De Martino. L’identità di questa valle quale terra-madre dell’argilla a cui tanti avevano attinto ed attingono, venne anche tutelata dalle intenzioni dell’ANAS di farvi passare una strada veloce di collegamento con la vicina autostrada snaturando la fisionomia del sito. Questi eventi furono gli antefatti che precedono la nascita del centro sperimentale che inizialmente fu battezzato in un primo tempo da Marano, Museo delle mattonelle moderne e che doveva avere un significato dinamico, di ricerca, di progetto. Lo spazio dei magazzini del Comune come luogo di ricerca e di documentazione a partire dalle esperienze già fatte e delle metodologie già sperimentate. Ma la realtà insegue l’utopia, il laboratorio sperimentale già progetta e realizza per un’altra città italiana una piazza tutta di cotto con disegni di nuova umanità. L’attrazione per il Museo Città creativa rinnova il messaggio interattivo. Rufoli andata e ritorno, Rufoli per le città creative.” (P. Persico Identità e sviluppo pag.110). Dopo una breve direzione artistica assegnata all’artista Ugo Marano il coordinamento passò successivamente all’architetto Rosalba Fatigati (1999-gennaio2001) che ha sicuramente avuto il merito di aver trasformato l’aspetto dei magazzini-deposito comunali in una galleria d’arte dal sapore contemporaneo, munita di ottima illuminazione, mensole e supporti che si prestavano ad accogliere adeguatamente i manufatti in argilla. Le Biennali come appuntamenti fissi del Museo accolsero quelle forze di artisti, architetti, associazioni che in quegli anni ruotavano intorno a questo centro di sperimentazione laboratoriale e per un lungo periodo un forno di cottura troneggiava nell’ultima sala a testimoniare la priorità che si assegnava all’aspetto dinamico e di Laboratorio. Durante questo periodo passarono dal Museo personalità artistiche di spicco come Riccardo Dalisi e Lello Esposito. A seguire la direzione del Museo fu affidata a Gabriella Taddeo che ha dato maggior impulso alla diffusione di una conoscenza internazionale dell’istituzione, coinvolgendo artisti e ceramisti provenienti impegnati in contesti internazionali.
Dal 2022 la direzione del Museo è stata affidata ad Angelo Sirico che ha avviato una risanamento conservativo della struttura, grazie all’assegnazione di fondi derivanti da finanziamenti del piano di ripresa e resilienza, con i quali si progetta di avviare il Museo verso più ampie collaborazioni con il terzo settore e il mondo delle Associazioni presenti sul territorio.
Ultimo aggiornamento
9 Gennaio 2024, 15:15